sabato 5 ottobre 2013

Where do we go? Nobody knows.

Come diavolo cambiano le cose nel giro di pochissimi mesi. 
Come diavolo cambiano. E tu sei li. 

Sei li. Ferma. 

Immobile. 
Non dici una parola. 
Hai visto solo un mese passarti davanti e sono successe miliardi di cose. 
Sei ferma. 
Sei fredda. 
Sei...indistruttibile. 
Sei forte
Come diavolo fai? 
Non lo so. 
Come diavolo puoi? 
Non lo so. 
Come diavolo hai fatto tutto questo? 
Ecco, io non ho risposta. 
Ho il cuore in mano. Piango. 

Vorrei poter avere la felicità in un messaggio, in modo da ricontrollarlo ogni volta. Ma poi si consuma. E io non voglio che si consumi. 
Nessuno lo vorrebbe. 
La felicità, la gioia, l'amore non si può contenere in un messaggio, in una chiamata, no. La contieni nel tuo cuore. 
Sta tutta la dentro. Tutte insieme, quelle emozioni. 
Vorrei poter aver qui una persona d'abbracciare quando serve. Ma no neanche quella si può conservare. 
E sono gli attimi, gli istanti che rendono la felicità, la gioia, l'amore, unici. 
Voglio poter vivere ogni momento, ogni attimo nel pieno dei suoi secondi. 
Chi non lo vorrebbe.


Canzone: Sense - Tom Odell 

giovedì 5 settembre 2013

Paris!

Si parte. 
Valigia pronta? Sì. 
Ha preso tutto? Forse. 
Ma sopratutto hai preso te stessa? Questo non lo so. 
Ci si sente un po' persi quando si va in un altro stato, si è lontani da casa e probabilmente non si vorrebbe neanche partire. 

Io, invece, voglio partire eccome! 
Ho bisogno di nuovo di staccare e partiamo già deliziosamente con Florence + The Machine nelle orecchie. La dose giusta di delicatezza che ti tocca nel profondo. 

Non sono sicura della famiglia, intendo non sono sicura se riuscirò a parlare bene il francese. Farò tantissimi errori di questo ne sono certa. 
Alexia dice che mi ripeterà le frasi se non capirò, la madre mi sembra simpatica e affabile. 
Io sono in ansia. 
Scrivo. Scrivo, scrivo per poter rilassarmi eppure vorrei dormire. 
Ci sono dei bambini dietro che continuano a giocare anche se credo crolleranno presto dalla stanchezza. Dopotutto sono le 21:22. 
Siamo partiti solo da 12 minuti e io ho già scritto un papiro. Wow. 
Sento che dentro di me ho bisogno di sfogarmi e lo sto facendo nel modo giusto. 
Scriverò un post sulla famiglia. 
Ora credo leggerò un po' di Pennac, facendo finta di non capire ciò che dicono le hostess. 
Parto con le mie compagne di scuola e io non lo do a vedere, ma dentro me c'è un uragano di emozioni. 
Una ragazza prima si è fermata davanti a noi e ci ha chiesto se siamo pratiche di Charles de Gaulle, noi? Sedicenni che stanno partendo da sole? 
Sinceramente, noi? 
No okay, che sembriamo più grandi, ma pratiche di quell'aeroporto  proprio no. 
La ragazza affianco a me sta giocando con il cellulare, mi piacerebbe capire le persone. Capire cosa pensano, anche solo dalle loro espressioni. Mi piace infatti immaginare cosa celano dietro ai loro visi, può sembrare stupido. È vero, ma se ci pensate è anche un bellissimo passatempo: cercare di scovare cosa cela dietro ad un'espressione di una persona. Cioè: wow. 
Niente, ora sono un po' troppo in ansia e credo smetterò di scrivere o rischio di scriverci un libro ancora prima di tornare.  

Parigi, sto arrivando. 

giovedì 22 agosto 2013

Oggi. Domani? Presente. Futuro?

Oggi ho imparato tante cose. 
Come i bambini alle elementari che tornano a casa tutti felici perché hanno imparato qualcosa di nuovo, anche io. 
Ho imparato che avere delle amiche che non sono della tua città, rendono l'amicizia ancora più forte e stretta. Ci si vede poche volte, ma quelle poche volte ci si racconta tutto e anche di più. Sfrutti quelle poche ore per raccontare cosa va e non va, e sai bene che loro sono li ad ascoltarti, come tu fai con loro. 
E poi c'è l'amore. L'amore. Questa parola tagliente come un coltello da una parte e morbido come il pane caldo dall'altra. 
Un colpo di fulmine quando due persone si capiscono al volo, si scambiano affetto, sorridono, si vogliono bene e scherzano. Oggi li ho visti con i miei occhi ed è stata la cosa più bella al mondo. Più di qualsiasi città o posto che io abbia visitato. 
Li ho visti affiatati, svegli, coscienti di una lontananza non di poco, ma maturi. E credo sia la cosa più importante di questa vita: l'essere maturi. Avere coscienza che si è lontani ma ci si ama lo stesso, sempre allo stesso modo di quelle poche volte che ci si vede al mese. 

"Sei incredibile."  
È la parola che mi si addice oggi, che mi è stata detta oggi. Non sono incredibile, io sono sempre e solo me stessa e per le persone a cui voglio un mondo di bene non posso far altro che aiutarle, pur facendomi in quattro, pur soffrendoci. 

E poi, poi io voglio tornare sui miei passi. Il pianoforte. Ho avuto i brividi stasera. Ho voglia di tornare a suonarlo, non voglio lasciarlo, non posso

Niente. Stasera vorrei sprofondare di nuovo in uno di quegli abbracci da amici che dicono tutto in soli 3 secondi.

La canzone che ho scelto per stasera è: So Cold - Ben Cocks.  

E questa foto l'ho scattata oggi e credo che con questa citazione riempia tutto questo spazio vuoto che ho ancora. 

"Son'ore che tremo pensando che ci rivedremo solamente per sfiorarci la mano." 

mercoledì 31 luglio 2013

Viaggio, viaggio e ancora viaggio.

Ma sì, alla fine sorridi al fatto che sei di nuovo in Italia e che hai appena concluso una lunga telefonata con una delle tue amiche più care. 
Alla fine sorridi al fatto che c'è qualcuno a cui manchi e che non vede l'ora di riabbracciarti e che te lo dice dall'altro capo del telefono. A volte, lo ammetto, la strozzerei, ma dopotutto lei mi ha sempre supportata in questo anno pieno di cambiamenti. 

Ma sì, mi manca già tutto dell'Inghilterra. Anche quei schifosi piccoli muffin alla mattina che forse erano la cosa più mangiabile in quel college. Mi manca già l'accento particolarmente British, Camden Town, PortoBello, Greenwich e tutte quelle meraviglie che ho potuto vedere in quelle due bellissime settimane. 
C'è da dire che non è andato tutto "liscio come l'olio", ma ci sono stati parecchi intoppi: già partendo dal fatto che non mi ammalavo da si e no due anni ma che ovviamente dovevo prendermi qualcosa in una delle città che ho amato di più al mondo. 
Adoro viaggiare e credo farà sempre parte di me; le città che mi sono rimaste più impresse e che adoro in assoluto sono: 
Roma - come si fa a non amare quel pozzo ricco di storia e magnificenza? 
Los Angeles - come si fa a non amare quel posto pieno di sogni di ogni umano di questa terra? 
Londra - come si fa a non amare quel posto che va dalla zona dei teatri per arrivare alla zona dei musei, passando da tutti quei quartieri diversi tra loro ma pur sempre magnifici? 

La lista potrebbe continuare a lungo e sono sicura che si arricchirà sempre i più con il passare del tempo, mettendo già subito dopo Parigi, la città dell'amore. 

Voglio essere già grande e poter essere un po' più indipendente, ma non voglio allontanarmi tanto da dimenticare l'Italia e l'italiano, che sono le cose che compongono la mia vita e ciò che amo.

Ecco qui vi lascio gustare ciò che si chiama poesia del cielo: i tramonti londinesi.  

lunedì 8 luglio 2013

We're the wild youth.

Mi piace perdermi in questa musica.
Mi piace perdermi nelle note di una chitarra classica o di una chitarra elettrica o di un basso...
Chiudere la porta. Mettere delle cuffie. Mi piace, mi piace.
E' una sorta di liberazione della tua anima che è come se fossi disteso sul letto..anzi.
Distenditi. Guarda su. Che vedi? Nulla, il soffitto. Prendi l'iPod o l'mp3 che usi di solito per ascoltare la musica. Imposta il casuale. 
Lasciati trasportare dalla prima canzone che passa; 
Una canzone rock per scaricare i nervi. Quello che ci vuole, se magari hai passato una particolare giornata difficile. 
E poi un lento. Una di quelle che sono strappalacrime che solo al sentirle in live potresti morire. Morire soffocato dalle lacrime perché crea in te un miscuglio di sensazioni magnifiche.
E' la volta della canzone "tormentone" che, magari, è solo il singolo della tua band preferita ma che ha fatto il giro del mondo in un secondo e la conoscono tutti. 
Ma poi...poi arrivi a delle perle come queste. 
Ed è come se vedessi passare davanti a te delle foto di persone completamente sconosciute, ma che tutte hanno da raccontare. Raccontare di loro stesse. Raccontare di un viaggio. Raccontare di un amore perduto o di uno ritrovato. Raccontare di una delusione o di una sorpresa. 
Che poi sono curiose, le loro storie. E' come se fossero piccoli pezzi di un libro e alla fine ti chiedi "E ora?". Proprio la stessa sensazione che hai quando finisci un libro. Ti senti: vuoto. Vuoto. 
E' finita, quella canzone. Ed è il momento di passare ad un'altra piccola perla che il tuo iPod/mp3 tira fuori quando meno te l'aspetti.
Siamo la gioventù selvaggia. La gioventù che ormai il futuro lo vede lontano ma lo immagina sempre più vicino.
Questa canzone riempie il tuo cuore, non senti? Rilassa. Rilassa, fino a farti chiudere gli occhi e provare quella magnifica sensazione che è come se ti stessero abbracciando.
E già ora di alzarsi per non rischiare di rimanere soffocati dai ricordi che porta la nostra mente a legarci a queste canzoni, ma forse hai tempo ancora per perderti in questa melodia che ti farà uscire da quel letto più forte di prima e il tuo corpo sarà rilassato. Completamente a suo agio.
Only Love - Ben Howard
Buon ascolto.

giovedì 4 luglio 2013

Mi chiamo Agnese

La mia storia raccontata con grande coraggio alla radio, qui la potete ascoltare in podcast: Radio 24 - Voi Siete Qui

"Mi chiamo Agnese, ho 15 anni, scrivo da Verona e sono una ragazza affetta di albinismo.
L’albinismo è una malattia rara genetica ereditaria, infatti quando sono nata io, i miei genitori sono rimasti molto sorpresi, non si aspettavano che nascesse qualcosa di così bianco e..puro. Come è di conseguenza il significato del mio nome: pura.
Sono nata per fortuna in mezzo a delle sorelle che mi rendono sempre più forte ogni giorno che passa. Sono la terza di quattro “donne”. Le mie due sorelle più grandi ormai stanno per lasciare la famiglia, mentre quella più piccola sta incominciando a capire cos’è l’albinismo e a chiedermi come e cosa vedo. Dopotutto, noi albini abbiamo una visione molto ridotta: per esempio, vedo circa due decimi anche se vengono peggiorati da molteplici fattori, tra i quali il nistagmo (movimento involontario dell’occhio: di solito oscillazione da destra a sinistra e viceversa) e a volte la fotofobia. (percezione doppia nell’occhio della luce)
Ma questo non mi fa abbattere, anzi mi rende più forte perché con il tempo ho sviluppato molto di più alcuni sensi, come l’udito e il tatto.
Ho avuto un periodo della mia vita in cui mi sono particolarmente chiusa in me stessa, non mi piacevo e non pensavo di piacere agli altri. Non trovavo nulla di particolarmente entusiasmante in me stessa che mi facesse dire “Che bella persona che sei Agnese!”.
Poi nell’autunno della terza media, mia mamma mi accenna di un progetto, di una fotografa e di un calendario. Così inizio a pensare che forse avrei dovuto aderire e provare a farmi fare qualche scatto, anche solo per svago, siccome adoro la fotografia.
Accetto. E in poche settimane mi ritrovo a casa di Silvia, la fotografa di cui mi aveva tanto parlato mia mamma. La sua casa è molto accogliente e dopo aver preso un thè e mangiato qualcosa tra una chiacchiera e l’altra, mi sistema i capelli, legandoli dietro. Fa qualche scatto, io le lascio fare, dopotutto non sapevo come comportarmi, seguo le sue istruzioni. Quando ad un certo punto mi da imbraccio il suo gatto, inizialmente rimango un po’ perplessa, ma poi mi giro verso l’obbiettivo e Silvia scatta la meravigliosa foto che finirà sul calendario.
Questo è stato uno dei momenti che hanno caratterizzato di più il mio essere, quindi mi ha aiutata ad aprirmi e a dire che forse qualcosa di bello in Agnese c’è.
Molti hanno definito la foto splendida, altri l’hanno paragonata a una di quelle donne ottocentesche.. è vero, noto una certa somiglianza, anche se ancora adesso non riesco a dire che sono davvero io in quella foto.
Questa foto è stata fatta vedere a molte persone, ancora prima di farla pubblicare sul calendario, la mia autostima è aumentata e così arrivando fino all’inizio della seconda superiore, in cui facciamo pubblicare finalmente il magnifico calendario con la mia foto e quella di altri bambini e ragazzi albini.
Non ho mai smesso di fare sport o comunque di comportarmi come gli altri, non mi hanno mai creato alcuna campana di vetro i miei, mi hanno sempre lasciata molto “libera”, fino a quando nella mia piscina alcuni “esperti” incontrano il mio talento di nuotatrice. Mi chiedono di voler entrar a far parte di una squadra di disabili sia ipovedenti come me sia disabili dal punto di vista psicologico che negli arti. Accetto con entusiasmo e mi diranno con altrettanto entusiasmo che saranno organizzate delle gare per ipovedenti e disabili. L’inizio della mia idea era che fossero state semplici gare e che probabilmente non sarei mai arrivata prima, avendo poca autostima di me stessa. Ma la situazione si ribalta quando alla mia prima gara, uscita dalla piscina, il mio allenatore quasi freddamente mi comunica che avevo realizzato i tempi per andare agli Italiani Paralimpici di Nuoto. Scoppio in una risata in cui non riesco a capire neanc’ora se era di gioia o di stupore, probabilmente un milkshake di tutti e due.
Arriva il giorno di questi Italiani Paralimpici di Nuoto. Mi trovo praticamente a faccia a faccia con campioni Italiani e Olimpici, come Cecilia Camellini.
Incomincio a chiedermi come fossi arrivata lì, in così poco tempo, fino a quando in poche ore mi ritrovo sul blocchetto di partenza dei 100 metri stile libero. Quando sei li sopra, non hai alcun pensiero, hai la mente completamente vuota. Aspetti solo che quel “A posto!” e che quel suono vengano pronunciati. Il tuo cuore magari batte all’impazzata, ma il tuo corpo non ne da bado e rimane concentrato su quei due segnali in particolare. Ecco, sono in acqua. Sto percorrendo i miei 100 metri come se fosse l’ultima cosa che potrei fare prima di lasciare tutto e andarmene. Arrivo infondo ai primi 25 metri ed è già tempo di fare la virata. La mia poca vista mi assicura che se vedo il segno blu per terra sott’acqua è segno che una bracciata o due e la virata è praticamente già completata. Succede così anche per gli altri 25 metri e quei 50 dopo. Non vedo più nessuno al mio fianco, o per lo meno non intravedo più alcuna sagoma più scura nelle corsie affianco alla mia. Infatti, quando sono in acqua non posso vedere chi c’è nella corsia affianco, perché non riuscirò mai a mettere a fuoco se è una donna o un uomo, se è un ragazzo o una ragazza, vedo solo una sagoma più scura nell’acqua.
Gli ultimi metri li faccio come se fossi stato una di quelle eroine dotate di qualche superpotere speciale e arrivo, finalmente, a toccare con tutte e due le mani il bordo della piscina. Ho il fiatone e l’unica cosa che riesco a fare è alzare lo sguardo verso il mio allenatore che sembrava spruzzare felicità da tutti i pori. Nel frattempo, non avevo capito se ero arrivata prima o ultima, anche se il mio timore era quello appunto di non essere arrivata a dare il massimo e quindi essere stata la quarta di quella batteria, in cui prevedeva ovviamente solo tre vincitori.
Con noi era venuto un altro ragazzo, che ha perso l’uso delle gambe per via di un incidente qualche anno fa. Abbiamo sempre relazionato poco, perché tutti e due molto timidi, ma credo che in quel momento avessimo creato una sottospecie di legame di pensieri, riuscivo a capire cosa stava provando e lui riusciva a capre cosa stessi provando io. E’ sembrato strano anche a me, ma questo è il nostro modo di capirci, avendo comunque tutti e due una disabilità che è superabile. Mi fa i complimenti e scorgo un sorriso vero sul suo viso, come se fosse stato orgoglioso di me.
Arrivano le premiazioni, quando chiamano la famosa batteria dei 100 metri stile libero classe S13, ossia gli ipovedenti come me, la classe più alta di disabilità.
Essendo per me un mondo nuovo, vedere tutti quei disabili è stato davvero di impatto, ho visto molti sorrisi e molte amicizie legate tra di loro con dei semplici sguardi. Le altre ragazze della mia batteria si avvicinano con me al podio. Partono dal terzo posto e io tiro un sospiro di sollievo, non ero io la ragazza ad essere arrivata terza. E a quanto pare nemmeno seconda. Ero forse arrivata quarta?
Una voce squillante annuncia che io, Agnese, ero la nuova Campionessa Italiana Paralimpica di Nuoto e che di conseguenza il mio tempo era stato registrato come record italiano. Primo posto e primo oro, alla mia sola prima gara Nazionale. Il mio allenatore era addirittura più felice di me, io sorridevo ed ero molto felice, ma lui non ha fatto altro che rendermi ancora più orgogliosa di me stessa, facendomi indossare la sua maglietta per la foto di gruppo sul podio. Non ho mai smesso di portare questa sfida che ho in acqua anche nella vita fuori con le relazioni e la scuola. Ho imparato a prendere ogni obbiettivo più arduo con determinazione e con l’aspirazione sempre di riuscirci e arrivare prima. La mia autostima è sicuramente aumentata, come sono aumentate e migliorate le relazioni con gli altri miei coetanei.
Non è stato il solo oro, ma il giorno dopo sono riuscita a conquistarne un altro nei 50 metri stile libero, quasi per un pelo. Esattamente un secondo di differenza dall’altra ragazza che nuotava con me nella mia batteria. E’ stato assolutamente fantastico, ma allo stesso tempo mi ha reso una realtà che non vediamo tutti i giorni. Tutti questi disabili che sembravano come una grande famiglia riunita, in cui l’importante era fare la gara e come andava andava e l’obbiettivo non era arrivare primi, ma soltanto godersi quelle magnifiche giornate tutti insieme.
E’ così che vivo ogni mio giorno, come una sfida in cui l’importante è arrivare al traguardo e almeno avere il buon senso di dire “Ce l’ho fatta, sono arrivata alla fine.”
Non smetto mai di dire “Ce la posso fare” davanti ad ogni ostacolo, così lo supero con più facilità. Sto cambiando e crescendo, ma non smetterò mai di amare quel bellissimo mondo che mi è stato fatto vedere in quelle gare e che
continuerò a vedere nelle prossime.
Sono una persona generalmente timida e riservata anche se il progetto, che spero venga reso visibile a più persone, mi sta aprendo sia psicologicamente che in senso astratto, molte strade di vita e di relazione con gli altri. E’ da lì che ora sono diventata così forte e determinata anche nel nuoto.
Questa è la mia storia, io sono qui."